La terapia genica nella Talassemia trasfusione dipendente

Il prof. Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, spiega l’importanza della ricerca che ha condotto all’approvazione del trattamento della prima terapia genica per la Beta Talassemia trasfusione dipendente.

Inevitabilmente, quando pensiamo a una malattia ereditaria – anche senza un’approfondita conoscenza della genetica – diamo per scontato che gli errori nel genoma si localizzino in diversi siti e che la propagazione degli stessi, attraverso complessi meccanismi molecolari, sia la causa di sintomi spesso difficili da tollerare. Nel caso delle sindromi beta-talassemiche ciò è vero solo in parte perché, se è innegabile che esse siano estremamente eterogenee sul piano molecolare, è anche vero che rappresentano il più classico esempio di patologie in cui le mutazioni interessano un singolo gene, il gene beta-globinico.

Questa loro caratteristica le ha rese un bersaglio ideale per la terapia genica che, solo pochi giorni fa, ha ricevuto dalla Commissione Europea (CE) l’approvazione condizionale per il trattamento dei pazienti affetti da beta talassemia trasfusione-dipendente (TDT). È, infatti, stata approvata la terapia genica per la beta talassemia sviluppata da bluebird bio, il cui percorso di sperimentazione ha coinvolto anche il Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’IRCCS – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, diretto dal Prof. Franco Locatelli che spiega all’Osservatorio Malattie Rare quale sia il valore di questo nuovo trattamento.

“Per quanto l’aspettativa di vita dei soggetti talassemici si sia di molto prolungata, con un’età media per questi pazienti che oggi supera i 40 anni, non c’è un’aspettativa sovrapponibile a quella della popolazione sana”, aggiunge Locatelli. “Tutto ciò rende evidente la necessità di avere accesso ad approcci terapeutici curativi in grado di risolvere definitivamente il problema. Fino a pochissimi anni fa, l’unica terapia in grado di offrire una cura era il trapianto di midollo osseo allogenico da effettuarsi impiegando un donatore perfettamente compatibile da un punto di vista immunogenetico (di solito un fratello), ma che, purtroppo, non è disponibile in più del 25% dei pazienti. Inoltre, il trapianto di midollo è straordinariamente efficace nei bambini e negli adolescenti fino a 14-15 anni, ma tende ad associarsi a complicanze pericolose per la vita oltre questa fascia d’età”. La terapia genica costituisce, dunque, la nuova frontiera terapeutica contro la beta talassemia. “Essa offre il vantaggio di essere sempre impiegabile in tutti i pazienti perché non condizionata dalla disponibilità di un donatore compatibile”. precisa il Professor Locatelli. “In più, trattandosi di un procedimento di re-infusione delle cellule proprie del malato si possono escludere i rischi della malattia da trapianto contro l’ospite, che possono connotare il trapianto allogenico”.

I criteri di inclusione dei pazienti sono fondamentali per determinare l’efficacia di questo innovativo trattamento che ha mostrato risultati molto più che soddisfacenti, indipendentemente dall’età, sia in pazienti adulti che adolescenti ma anche in pazienti pediatrici. “Per accedere alla terapia genica i pazienti dovranno rispondere a determinati requisiti”, spiega Locatelli. “In primis quello del genotipo. La terapia è indicata nei soggetti con genotipo non beta0-beta0, cioè con mutazioni che determinano una grave riduzione di emoglobina ma non una sua completa assenza. La terapia genica, inoltre, è stata al momento approvata nei pazienti di età compresa tra 12 e oltre 50 anni. Infine, un terzo criterio è dato da una performance d’organo, soprattutto a livello cardiaco ed epatico, che non sia compromessa dal sovraccarico di ferro”. Potranno sottoporsi al trattamento i pazienti con un limitato sovraccarico di ferro a livello di cuore e fegato che non presentino infezioni epatiche attive o quadri di cirrosi. “Per l’indicazione attuale, in Italia, gli individui che potranno beneficiare del trattamento si stima siano circa 900”, chiarisce Locatelli. “Ovviamente, quando l’indicazione si allargherà anche ai soggetti con genotipo beta0-beta0 e alla popolazione pediatrica non beta0-beta0 arriveremo a ordini di grandezza intorno ai 2.000-2.500 pazienti. Una proporzione piuttosto consistente dell’intera popolazione dei pazienti con una talassemia dipendente da regolare supporto trasfusionale”.

Guardando all’efficacia, nello studio Northstar-2, sostanzialmente si è dimostrato che più del 90% dei pazienti ha raggiunto un’indipendenza trasfusionale sostenuta nel tempo e con livelli di emoglobina compresi tra 11 e 13 g/dL, superiori addirittura a quelli osservati nei loro stessi genitori portatori della malattia. Nello studio Northstar-3 che ha arruolato pazienti con la forma grave di talassemia, cioè quelli, con genotipo beta0-beta0, che non hanno produzione neppure una residua quantità di emoglobina, i dati sono molto incoraggianti e mostrano valori di emoglobina derivante dalle cellule geneticamente corrette nell’ordine dei 9-10 g/dL nettamente in grado di garantire l’indipendenza trasfusionale.

Dopo il via libera europeo il processo di sviluppo applicativo e commercializzazione prevede che abbia inizio la negoziazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA): la terapia genica sarà inizialmente destinata a pazienti con genotipo non beta0-beta0 in fascia d’età compresa tra 12 e 50 con prospettive di estendersi in futuro anche ai soggetti pediatrici e a quelli con il genotipo beta0-beta0. Una popolazione che andrà allargandosi sempre più.

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