La terapia genica contro la beta talassemia si dimostra efficace

genetica La terapia genica potrebbe rivoluzionare l’approccio terapeutico alla beta talassemia, una malattia ereditaria del sangue diffusa nell’area mediterranea, che nelle forme più gravi comporta la continua necessità di trasfusioni.

 

La prima sperimentazione clinica di questa tecnologia medica (che prevede di utilizzare materiale genetico come se fosse un farmaco) in pazienti con beta talassemia adulti e pediatrici, perfezionata in oltre 10 anni di lavoro dal gruppo di ricerca di Giuliana Ferrari, docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele, presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano (SR-TIGET), ha dimostrato che la terapia genica è sicura ed efficace nel trattamento della malattia, con risultati migliori nei soggetti più giovani.

Prima di tutto: che cos’è la terapia genica? Ce lo spiega Luigi Naldini, medico e direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano che ha ricevuto dalla Fondazione Louis-Jeantet il prestigioso premio omonimo “per la sua pionieristica attività di ricerca, che ha portato la terapia genica dal contesto sperimentale alle prime applicazioni cliniche, grazie a cui sono già stati trattati pazienti con diverse malattie genetiche”.

La ricerca, frutto della sinergia tra IRCCS Ospedale San Raffaele, Fondazione Telethon e Orchard Therapeutics, e che ha visto la collaborazione di associazioni di pazienti con talassemia, è stata pubblicata su Nature Medicine.

La beta talassemia, che interessa in Italia più di 7.000 pazienti, è causata da una mutazione del gene che codifica per la beta-globina, una componente dell’emoglobina, la proteina responsabile del trasporto dell’ossigeno nei globuli rossi del sangue. Esistono più di 300 mutazioni conosciute di questo gene che determinano diversi livelli di gravità della malattia. Nelle forme più serie, i globuli rossi non funzionano correttamente e i pazienti (anemici, con crescita insufficiente e anomalie scheletriche) necessitano di frequenti trasfusioni per sopravvivere.

I ricercatori hanno prelevato cellule staminali emopoietiche(cioè le cellule non ancora completamente differenziate da cui originano tutte le cellule del sangue e del sistema immunitario) da 9 pazienti con forme gravi di beta talassemia, dipendenti da trasfusioni e di diversa età: tre adulti sopra i trent’anni, tre adolescenti e tre bambini sotto i sei anni. La malattia compromette in modo progressivo l’integrità del midollo osseo, da qui l’importanza di intervenire sin dalla giovane età e di confrontare i risultati su pazienti di età diverse.

All’interno delle cellule prelevate è stata inserita una copia funzionante del gene della beta-globina attraverso un virus della stessa famiglia dell’HIV, svuotato del suo potenziale infettivo e trasformato in mezzo di trasporto per il gene corretto: un vettore lentivirale, in termini medici. Le cellule modificate sono state trasferite direttamente nel midollo osseo del paziente (la sede naturale delle cellule ematopoietiche) in modo da favorirne l’attecchimento.

A oltre un anno dal trattamento, 3 dei 4 pazienti più giovani con un follow-up sufficiente per la valutazione hanno raggiunto la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue; nei tre pazienti pazienti adulti si è ottenuta invece una significativa riduzione della loro frequenza. Soltanto uno dei bambini coinvolti nello studio non ha avuto effetti positivi dal trattamento, e i ricercatori stanno cercando di capire il motivo.

«È la prima volta che la terapia genica per la beta talassemia viene utilizzata in pazienti pediatrici. I risultati raccolti fino ad ora dimostrano non solo la sua sicurezza in questo contesto, ma anche la sua maggiore efficacia», ha detto Giuliana Ferrari. Lo studio conferma l’efficacia delle tecniche di trasferimento genico (che usano cioè vettori virali per far arrivare i geni corretti nel corpo dei pazienti) nel trattamento di malattie rare.